Teatro

VALENCIA, Simon Boccanegra

VALENCIA, Simon Boccanegra

Valencia, Palau de les Arts, “Simon Boccanegra” di Giuseppe Verdi SIMONE ALLO SPECCHIO Nell’avveniristica e molto suggestiva opera house progettata dal catalano Calatrava, la nuova produzione firmata da Lluis Pasqual con Carlos Alvarez ha creato un clima di grande attesa, per il debutto di Alvarez in Spagna nel ruolo e la presenza di Lluis Pasqual, “regista” spagnolo per definizione. Lluis Pasqual ha usato una scena fissa, costituita da quinte semi-fisse e da una gradinata che percorre in orizzontale tutto il palcoscenico, scelta in parte motivata dai problemi sopravvenuti negli ultimi mesi alla piattaforma del palco ed in sintonia con la poetica minimalista del regista: impianto scenico scarno per concentrare l’attenzione sui movimenti e sulla musica. Il pavimento è uno specchio di acciaio nero ed immensi specchi scuri rivestono le alte quinte laterali, che evocano, nella loro torreggiante verticalità, proporzioni gotiche. Gli specchi creati da Ezio Frigerio moltiplicano in modo suggestivo le immagini e i punti di vista e svolgono, in un’opera sospesa fra pubblico e privato, più funzioni: sfumano in una dimensione lontana le vicende private, divenute immagini sfocate e antiche come l’argento vecchio, ed amplificano le scene di massa e i bagliori delle armi per far risaltare il clima fazioso di lotta e di pugna. Naturalistico il mare sullo sfondo, cesellata scultura di stagnola argentea, reminiscenza di certe marine di pittura ligure ottocentesca. Il mare è forte presenza, sullo sfondo o a tutto campo come nella scena finale, quando, magistralmente illuminato di azzurro da Albert Faura, riverbera le sue onde sul pavimento di specchio che ne propaga i riflessi azzurrini. Anche la gradinata è onda, funzionale al movimento ondivago delle masse che irrompono sulla scena (elezione di Simone a Doge, arrivo delle plebi nella scena del Consiglio), bagnasciuga su cui giace Simone in attesa di essere lambito dalla morte. Unico oggetto, in quanto essenziale allo sviluppo della vicenda, il vaso trasparente in cui Paolo, con gesti da alchimista malvagio, versa un bianco veleno. Tutto è grigio, per sottolineare i toni cupi della vicenda e la partitura musicale caratterizzata da voci gravi, trasponendo in un tempo “lontano“ la romanzesca vicenda, citazione dei film in bianco e nero di ambientazione storica di maniera. I bei costumi di Franca Squarciapino consentono di datare la vicenda: un tardo medioevo, con un tocco di neogotico, per suggerire il medioevo immaginato dai romantici contemporanei di Verdi. I colori dei costumi, fra i pochi tocchi di colore dell’allestimento, definiscono le fazioni e le fasi del dramma: color del mare è Simone corsaro, in un manto di vernice rossa quasi papale nella scena del Consiglio, tetro marrone alla fine. Per definire gli ambienti (la casa dei Fieschi e dei Grimaldi, la stanza di Simone nel Palazzo Ducale) calano grandi pannelli grigliati, che creano una stratificazione di piani visivi, consentendo la visione filtrata della scena al loro interno e rappresentando alcuni temi: l’ambiente di clausura in cui vive Amelia, il senso di oppressione che dà il potere. Intensa è la scena finale. Simone, dal passo incerto, rimira il mare per l’ultima volta. Fiesco non visto e incappucciato si avvicina ieratico: è il momento dell’incontro delle due solitudini e dello scioglimento degli antichi rancori. In un climax carico di tensione, quasi al rallentatore, le due figure si avvicinano e Simone cade a terra come folgorato, quasi una deposizione. Giace Simone solo e in primo piano sulla sommità della gradinata, tutti gli altri sfilano in secondo piano per uscire di scena. Tutto è finito e risolto: la città pacificata, la nipote restituita, il matrimonio d’amore compiuto, il traditore punito. Simone non serve più. Lorin Maazel ha fornito una direzione musicale pulita, seguendo un percorso parallelo alla direzione scenica e coerente con la regia. Con un buon senso del racconto, ha fatto uso sapiente delle pause e dei silenzi giungendo a un grande risultato emozionale e drammatico. Nella scena del Consiglio, quando a scena quasi buia tutti con le spalle voltate al pubblico attendono il responso popolare, l’orchestra fa una pausa lunghissima per preparare l’esplosione dell’orchestra e il fragore delle plebi che irrompono sul palcoscenico. Un buon risultato anche da parte dell’Orchestra de la Comunitat Valenciana di recentissima formazione (2006), che ha ben commentato i vari momenti drammatici, anche se non ancora in condizione di rendere tutte le finezze cromatiche della partitura verdiana e di controllare alcune sezioni. Il Coro diretto da Francesc Perales è stato suggestivo nei fuori scena ed ha eseguito con buona dizione ed espressività il parlato della maledizione. Carlos Alvarez, dotato di bella voce e ottimo fraseggio, ha cantato in modo omogeneo, confermando di essere a suo agio anche nel registro acuto. Più adatto nel interpretare il giovane corsaro che non l’uomo di stato maturo, ha privilegiato l’aspetto privato del personaggio, creando un Simone trasognato e distante, malinconico e solo, imprigionato suo malgrado in una storia politica per amore. Bellissimi il cullante e malinconico “Del mar sul lido ostile“, come pure il “E' sogno ..sì spaventoso“, ma intensi sono stati anche il duetto con la figlia, permeato di malinconia e dolcezza, e l’ultimo con Fiesco. E’ risultato meno incisivo nelle parti declamate di perorazione. Cristina Gallardo Domàs ha creato una Amelia molto intensa sul piano drammatico-interpretativo, ma non sempre convincente dal punto di vista vocale. Buono il registro centrale e le mezze voci, dolcissima nella scena dell’agnizione, in cui le movenze contratte dell’orfana si sciolgono e la voce è morbida, ma spesso fuori controllo gli acuti, che risultano troppo forti e stridenti per la parte e che tendono a sovrastare le altre voci. Orlin Anastassov (Fiesco), purtroppo indisposto, non ha dato modo di poter valutare le sue doti vocali. La voce è apparsa nasale e un po’ troppo chiara per la parte, ma ha comunque cantato in modo corretto e musicale fino alla fine, creando grazie a una imponente presenza scenica un personaggio molto solenne e orgoglioso. Massimiliano Pisapia, nella parte di Gabriele Adorno, ha cantato con grande gusto e attenzione alla parola. Dal canto ben sostenuto con un registro acuto sicuro e sotto controllo, ha ben dipinto il giovane amante impetuoso con un fraseggio incisivo e capace di abbandono melodico. George Gagnidze è stato un Paolo machiavellico, più efficace dal punto di vista scenico che vocale. Ha alternato prestazioni discontinue: di grande intensità vocale e interpretativa durante la maledizione e nel secondo atto, non ha posto la stessa cura in altri momenti, risultati un po’ monocordi. Grande successo, applausi per tutti, teatro esaurito in una città sempre più proiettata in avanti che, lasciato il mare del Simone, è già pronta per quello dell’America’s Cup . Visto a Valencia, Palau de les Arts, il 9 marzo 2007 ILARIA BELLINI